Cosa determina il prezzo delle criptovalute?
La novità, il rapido tasso di crescita e l’alta volatilità delle criptovalute hanno fortemente aumentato l’incertezza che ruota intorno a questi strumenti finanziari, incertezza che ha sua volta reso impossibile rinvenire evidenze definitive sul fatto che esse siano un mezzo di scambio od un investimento speculativo. Tale incertezza fa sorgere una domanda: cosa determina veramente il loro prezzo e come si evolve nel corso del tempo? Inoltre, la loro alta volatilità fa sorgere un secondo, ulteriore dubbio: il loro rendimento aggiustato per il rischio è più alto del rendimento del portafoglio di mercato misurato a livello mondiale? A queste domande hanno cercato di dare risposta due giovani ricercatrici svedesi dell’Università di Goteborg (Jenny Asplund e Felicia Ivarsson, 2018). Le due studiose utilizzano tre tipi di variabili per fornire risposte almeno relativamente a bitcoin, ethereum, ripple e litecoin: a) variabili macro-finanziarie, come l’indice Morgan Stanley Capital International (MSCI) relativo ai mercati borsistici di 23 paesi sviluppati, il prezzo dell’oro, l’indice del prezzo del petrolio World Texas Intermediate (WTI), il tasso di cambio dell’euro, dello yen, dello won sud-coreano rispetto al dollaro (queste quattro monete sono le contropartite a corso legale più utilizzate nello scambio diretto contro bitcoin, ethereum, ripple e litecoin); b) variabili di offerta (la capitalizzazione di mercato delle criptovalute studiate) e di domanda (il volume degli scambi); c) variabili di popolarità, come il numero di visualizzazioni delle pagine Wikipedia relative alle singole criptovalute analizzate, e il numero delle volte in cui almeno una fra le parole “bitcoin”, “ethereum”, “litecoin”, “ripple”, “cryptocurrency” e “cryptocurrencies” sono state menzionate in un articolo online. Nel loro modello econometrico, le ricercatrici utilizzano altresì una variabile di controllo costituita dal tasso sui titoli del tesoro americani con scadenza tre mesi e rappresentante il tasso privo di rischio, nonché una proxy della situazione macroeconomica.
Utilizzando il classico modello dei minimi quadrati ordinari (MQO od OLS)[1], esse trovano che le variabili di domanda ed offerta (volume degli scambi e capitalizzazione di mercato, e le variabili di popolarità (visualizzazioni su Wikipedia e parole relative alle criptovalute trovate in articoli online) presentano tutte effetti significativi sull’andamento del prezzo delle quattro criptovalute e tutte in maniera positiva ad eccezione delle parole trovate negli articoli online facendo pensare quindi ad articoli che in genere sono negativi nei confronti delle criptovalute: al contrario i fattori marco-finanziari non hanno alcuna influenza sull’andamento del prezzo criptovalutario se si esclude una relazione negativa e statisticamente significativa con il tasso di cambio dollaro/yen.
Quanto alla seconda domanda di ricerca, la cosiddetta misura M2[2] suggerisce che – in un periodo annuale – gli investitori sono ben compensati per il rischio quando investono in criptovalute, con alcune eccezioni: ripple fra il settembre 2015 e il settembre 2016 ed ethereum fra il settembre 2017 e l’aprile 2018. Se la stessa analisi viene effettuata a livello mensile, si nota invece un rendimento aggiustato per il mercato delle quattro criptovalute più in linea con il rendimento del portafoglio di mercato MSCI. Col senno di poi, quindi sembra che sia stato più conveniente tenere criptovalute per un periodo più lungo, se si voleva ottenere un rendimento aggiustato per il rischio più alto, mentre a livello mensile l’andamento del rendimento ha avuto alti e bassi troppo accentuati.
In definitiva, l’analisi collettiva delle quattro criptovalute eseguita dalle due autrici mostra un’assenza di correlazione con le monete a corso legale che, insieme alla mancanza di capacità di essere riserva di valore, le rendono inadeguate a sostituire proprio le divise a corso legale cui vorrebbero fare concorrenza. Esse sono comunque un buono strumento speculativo. Inoltre, il fatto che il loro prezzo sia guidato essenzialmente da fattori “morbidi” come quelli relativi alla popolarità e non da fattori macro sta a significare che il loro rischio di mercato è basso, mentre è alto quello idiosincratico. Questo le rende piuttosto interessanti anche come strumento di copertura dal rischio. Il rendimento annuale (ma non quello mensile) aggiustato per il rischio è inoltre quasi sempre stato superiore a quello del portafoglio di mercato MSCI anche se in maniera meno consistente negli ultimi tempi.
[1] Le due ricercatrici prima valutano le ipotesi di adozione di modelli per dati di panel. Anzitutto, scartano la possibile presenza di correlazione fra il termine d’errore e le variabili indipendenti, propendendo all’inizio per un modello ad effetti casuali a scapito di quello ad effetti fissi (dove è presente la summenzionata correlazione). In secondo luogo preferiscono al modello ad effetti casuali i classici minimi quadrati ordinari, poiché non trovano forte variabilità all’interno (within-variance) delle serie storiche delle quattro criptovalute analizzate. Per una rassegna sulla letteratura econometrica sui modelli per dati di panel statici con il software Stata, si veda Torres-Reyna (2007). Per una più approfondita discussione teorica e la differenza fra modelli ad effetti fissi ed effetti casuali e sulla scelta fra i due si veda Wooldridge (2014).
[2] Chiamata anche misura della performance aggiustata per il rischio di Modigliani, data dall’indice di Sharpe moltiplicato per la deviazione standard annualizzata del benchmark di riferimento (o portafoglio di mercato che nel caso della ricerca in questione è l’indice MSCI mondiale). A questo prodotto si aggiunge il tasso di rendimento privo di rischio (in questo caso quello relativo ai titoli del tesoro americani a 3 mesi).